Oblio: Come va operato il bilanciamento fra diritti. La definizione del Garante della Privacy e il caso Yahoo!

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lunedì 13 settembre 2021

Oblio: Come va operato il bilanciamento fra diritti. La definizione del Garante della Privacy e il caso Yahoo!

Di sempre maggiore rilevanza giuridica è il tanto discusso dibattito dei limiti del c.d. diritto all’oblio e di come vada operato un bilanciamento tra il diritto alla riservatezza dei dati e quello di cronaca, quest’ultimo reso ancora più complesso se veicolato attraverso il web.

Indice degli argomenti

·        Il diritto all’oblio

·        Il caso Yahoo!

o   La sentenza

o   La decisione della Suprema Corte

Il diritto all’oblio

Come definito dallo stesso Garante Privacy, il diritto all’oblio (previsto dall’art. 17 del Regolamento UE 2016/679) si configura come un diritto alla cancellazione dei propri dati personali in forma rafforzata, che non solo obbliga il titolare del trattamento a cancellare i dati su richiesta dell’interessato e quando ne ricorrano i presupposti di legge, ma che prevede anche l’obbligo per i titolari che abbiano reso pubblici i dati personali dell’interessato, ad esempio, pubblicandoli su un sito web, di informare della richiesta di cancellazione altri titolari che trattano i dati personali cancellati (come stabilito dall’art. 17, paragrafo 2 del Regolamento, es. link, copie, etc.).

Il caso Yahoo!

La delicata questione circa l’attività di cancellazione da internet di informazioni personali degli interessati è oggi al vaglio della Suprema Corte, ove Yahoo! EMEA Limited e Yahoo! Italia s.r.l. hanno impugnato la sentenza del Tribunale di Milano n. 12623/2016 che rigettava il ricorso promosso da questi contro il provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali n. 83 del 25 febbraio 2016.

In particolare, il Tribunale di merito aveva confermato quanto deciso dal Garante che si era pronunciato accogliendo la richiesta di un privato cittadino di vedersi riconosciuto il diritto all’oblio consistente nella cancellazione dai risultati delle ricerche del proprio nome eseguite sul motore di ricerca Yahoo, che reindirizzava a siti di notizie di cronaca giudiziaria non più attuali.

Si trattava, infatti, di siti che riportavano una notizia potenzialmente lesiva della reputazione dell’interessato, riguardanti un’ipotesi di reato contestata allo stesso che era stata in realtà successivamente derubricata, con la conseguente archiviazione e dichiarazione di non luogo a procedere, di cui però negli articoli di cronaca non si dava atto.

 

La sentenza

La sentenza di merito confermava dunque l’esito favorevole all’interessato già delineato dall’Autorità Garante, che aveva anzitutto riconosciuto l’applicabilità del diritto nazionale e la propria giurisdizione, ritenendo Yahoo! Italia s.r.l. un’organizzazione stabile di Yahoo! EMEA Limited sul territorio nazionale, “in virtù del fatto che l’attività svolta dalla prima è diretta quanto meno a rendere economicamente redditizio il servizio reso da Yahoo! EMEA Limited”.[1]

Veniva inoltre ribadito anche quanto precisato dal Garante in ordine alle modalità del trattamento dei dati dell’interessato e alla divulgazione degli stessi, che devono essere orientate a criteri di necessità, pertinenza e non eccedenza rispetto allo scopo perseguito, oltre che di esattezza e coerenza.

Il Tribunale inoltre, richiamando i principi già delineati dalla Corte di Giustizia in tema di diritto all’oblio,[2] ha affermato la prevalenza del diritto fondamentale della riservatezza[3] sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, e anche su quello del c.d. diritto di cronaca, che si manifesta sia nel diritto a pubblicare una notizia, espressione del principio della libertà di stampa, che nell’interesse dei cittadini a trovare un’informazione in occasione di una ricerca concernente il nome di quella stessa persona.

Dall’altra parte le due società hanno impugnato la sentenza affermando che la sola a potersi identificare come “titolare” del trattamento di dati personali in questione fosse la società irlandese, quale soggetto controllante che detiene l’autonomia gestionale del motore di ricerca, mentre la società italiana non avrebbe avuto alcun controllo sui contenuti dello stesso. Afferma inoltre il provider che la propria attività sia di indicizzazione delle informazioni e gestione di un motore di ricerca, e pertanto esso non sia titolare delle informazioni e dei dati personali contenuti nelle pagine web a cui meramente reindirizza le ricerche, senza verificarne il contenuto.

La decisione della Suprema Corte

Alla luce del complesso quadro della questione, la Suprema Corte, e della novità della questione in giurisprudenza con ordinanza del 24/06/2021, n. 18163, ha dunque ritenuto di posticipare la decisione sul ricorso avanzato dai provider, fissando la decisione in pubblica udienza.

Si attende dunque la decisione della Suprema Corte, che auspicabilmente potrà dipanare i dubbi sul contenuto del diritto all’oblio nei confronti dei colossi del web.

Note

  1. Provvedimento del Garante n. 83 del 25 febbraio 2016, doc. web n. 4881581. Sul punto il Garante si è pronunciato in più occasioni emanando anche ulteriori provvedimenti (Provvedimento n. 30 del 26 gennaio 2017- Rimozione di un URL riconducibile ad una pagina web). 
  2. Sentenza 13 maggio 2014 della Corte di giustizia dell’Unione Europea (in causa C-131/12 Google Spain).
  3. L’art. 8 della Carta di Nizza sancisce la tutela dei dati di carattere personale (data protection).

Articolo redatto da Avv. Victpria Parise Partner di The Legal Match e dott.ssa Viviana Cataldi