Negli ultimi anni i social network sono divenuti la
principale valvola di sfogo dei “leoni da tastiera, un crescente numero di soggetti dediti a bersagliare “i
destinatari di turno” dei loro post dal contenuto spesso aggressivo e
offensivo, tanto da integrare il reato di diffamazione.
Segnaliamo che, in argomento, si è recentemente pronunciata Cass. Pen., V sez., 25 marzo 2022, n. 10762 che ha respinto il ricorso di due donne condannate in primo grado e in appello per avere pubblicato su Facebook una serie di post gravemente offensivi nei confronti di una conoscente. All'interno del testo non erano presenti nome e cognome, ma si faceva riferimento alla professione e al suo "nanismo”, quanto basta affinché amici e collaboratori potessero individuare il soggetto destinatario delle offese.
Secondo orientamento giurisprudenziale prevalente della giurisprudenza di legittimità, la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca facebook integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ex art. 595 comma 3 c.p., sotto il profilo dell’offesa arrecata con “qualsiasi altro mezzo di pubblicità” diverso dalla stampa, dal momento che la condotta realizzata è “potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque potenzialmente apprezzabile di persone” (Cfr. Cass. Sez. V, n. 13979 25.01.2021, RV281023).
Non osta alla integrazione del reato di diffamazione l’assenza di una indicazione nominativa del soggetto la cui reputazione è lesa, se lo stesso è individuabile da un numero limitato di persone, attraverso gli elementi della fattispecie concreta, quali la natura e la portata dell’offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali (Cfr. Cass. Sez. VI, n. 2598 del 6.12.2021 (dep. il 24.1.2022); Cass. Sez. V, n. 2379 del 17.02.2014, RV 260213).
La decisione del Giudice d’appello è stata considerata dagli Ermellini in linea con tali principi, infatti la destinataria delle espressioni dal contenuto diffamatorio era individuabile per una serie di elementi individualizzanti (fra i quali, il nanismo della persona offesa, il termine spazzina in quanto addetta alle pulizie).
Come precisato nella sentenza, l'offesa si configura nonostante "l'assenza di indicazione nominativa del soggetto la cui reputazione è lesa, qualora lo stesso sia individuabile, sia pure da parte di un numero limitato di persone, attraverso elementi della fattispecie concreta, quali la natura e la portata dell'offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali".
Nel caso in esame dunque, data la presenza di riferimenti tali da far individuare a più soggetti il destinatario degli insulti per mezzo della piattaforma social "Facebook", si configura il caso di diffamazione aggravata.La Corte ha annullato la sentenza precedente poiché il reato era effettivamente caduto in prescrizione.
The Legal Match