Avv. Emidia Di Sabatino
Partner The Legal Match - Bologna
Abstract, versione integrale pubblicata in Forum LES Italia
Nel nostro ordinamento è previsto un sistema binario di costituzione del marchio tramite registrazione o uso. La scelta di registrare il marchio comporta un costo che all’atto del deposito il titolare deve sostenere, ma conferisce certamente un vantaggio sotto il profilo della competitività e della certezza giuridica rispetto all’opzione dell’uso.
La regolamentazione del marchio di fatto è contenuta negli art. 2571 c.c. e 12 n.1 a) C.P.I. e attiene alla possibile interferenza del marchio di fatto con un marchio registrato uguale o simile. Come è noto, l’articolo 2571 c.c. prevede che chi ha fatto uso di un marchio non registrato ha la facoltà di continuare ad usarlo, nonostante la registrazione da altri ottenuta, nei limiti in cui anteriormente se ne è valso; l’art. 12 n.1 a) permette al preutente di reagire contro l’altrui successiva registrazione di un segno uguale o simile solo in caso di “notorietà non puramente locale” che determina la nullità, per difetto di novità, del successivo marchio registrato e gli consente di proseguire l’uso del proprio marchio di fatto, mentre la notorietà locale si limita a determinare l’ambito territoriale di protezione del marchio di fatto verso i segni non registrati di terzi e di conservazione del diritto di usarlo in caso di altrui successiva registrazione[1].
L'individuazione della sfera territoriale del preuso non è un accertamento agevole e poggia su criteri empirici che richiedono una valutazione caso per caso.
Al riguardo, si è osservato infatti che: “a parte il rilievo di carattere generale, secondo cui se l'uso del marchio di fatto ha carattere generale l'ambito di protezione coincide con l'intero territorio dello Stato, mentre se l'uso riguarda un ambito più limitato, la protezione del marchio coinciderà solo per questo ambito, numerose sono le sfumature che tale diversità di tutela pone. Certamente si deve tenere conto della rapidità delle comunicazioni e degli spostamenti nel tempo presente, che impongono di limitare il concetto di preuso locale a settori nei quali la localizzazione ha per sé stessa l'effetto di delimitare i mercati e ritenere meramente locale solo l'uso che sia rimasto circoscritto ad un ambito territoriale veramente modesto. Così si è ritenuto fonte di notorietà generale un uso del segno compiuto a livello pluriregionale o anche solo regionale ovvero, avvenuto nell'ambito di popolose province. Con la conseguenza che il concetto di notorietà puramente locale dovrebbe essere ristretto ad ipotesi di utilizzo del marchio in un modesto ambito provinciale”[2].
Secondo un orientamento giurisprudenziale (recessivo), la tutela del marchio di fatto va individuata nella disciplina della concorrenza sleale confusoria ai sensi dell’art. 2598 n.1 c.c., ragion per cui il titolare del marchio di fatto ha il diritto di inibire ad altri di fare uso dello stesso segno (o di un segno simile), solo se quest’uso sia idoneo a produrre confusione.
Prevale, tuttavia, l’orientamento giurisprudenziale che equipara la tutela del marchio registrato e del marchio di fatto, con diretta applicazione a quest’ultimo della disciplina delle privative e riconoscimento al titolare del marchio di fatto di un diritto di proprietà industriale in senso pieno[3]. Nell’ottica della equiparazione viene riconosciuta al marchio di fatto la tutela giurisdizionale prevista per il marchio registrato. L’art. 134 C.P.I. riserva, infatti, alla competenza della sezione specializzata "i procedimenti giudiziari in materia di proprietà industriale e di concorrenza sleale, con esclusione delle sole fattispecie che non interferiscono, neppure indirettamente, con l'esercizio dei diritti di proprietà industriale" e ricomprende, quindi, tutte le controversie in materia di diritti di proprietà industriale titolati e non titolati[4]. Tale interpretazione è peraltro confortata dagli artt. 1 e 2 C.P.I. e, in particolare, dalla previsione secondo cui "sono protetti, ricorrendone i presupposti di legge, i segni distintivi diversi dal marchio registrato" (art. 2, comma 4, C.P.I.).
Tuttavia mentre il marchio registrato, proprio in forza della registrazione che ne rappresenta il titolo costitutivo che conferisce al suo titolare il diritto all'uso esclusivo è assistito da una presunzione di validità e merita tutela in sé, la sussistenza e la tutelabilità di un segno usato come marchio di fatto per contraddistinguere un prodotto/servizio richiedono, invece, di verificare se l'uso costante del segno abbia comportato la costituzione di un segno distintivo e meriti in concreto la tutela invocata.
È pacifico che la costituzione di un marchio di fatto non si ricollega automaticamente all’uso, anche se protratto ed esclusivo del segno, ma richiede la prova che tale uso abbia attribuito al segno “notorietà” cioè abbia determinato il diffuso radicamento della forza distintiva del segno nella percezione dei consumatori. Cioè il segno deve avere acquisito, in forza della sua utilizzazione, la funzione di strumento di comunicazione distintivo della provenienza del prodotto e del servizio e delle caratteristiche anche qualitative dello stesso[5]. L’elemento dell’uso va tenuto distinto da quello della notorietà che non costituisce il mero riflesso del carattere pubblico dell’uso ma presuppone che il segno abbia acquistato presso il pubblico una concreta idoneità distintiva, ovvero sia da questo effettivamente e apprezzabilmente conosciuto[6]. L’uso atto a conferire notorietà deve essere intenzionale e continuo, non precario, né occasionale o casuale e deve assicurare la conoscenza effettiva e diffusa del prodotto/servizio contraddistinto.